In due recenti articoli open access pubblicati dal gruppo di ricerca coordinato da Maurizio Manera - docente della Facoltà di Bioscienze e tecnologie agro-alimentari e ambientali - emergono evidenze circa il ruolo di biomarcatore polivalente svolto dal rene di carpe sperimentalmente esposte a acido perfluoroottanoico (PFOA).
Nello studio - pubblicato nella rivista "International Journal of Environmental Research and Public Health" - sono state utilizzate delle carpe esposte a due concentrazioni di acido perfluoroottanoico (PFOA), sostanza tossica che si può rilevare nelle acque superficiali di alcuni fiumi impattati. Dopo soli 56 giorni di esposizione a PFOA, anche a una concentrazione di rilevanza ambientale, sulle carpe si sono verificati dei danni sulla ultrastruttura del rene e, in particolare, della tiroide.
La peculiare struttura del rene di carpa - presentando nefroni tipici dei vertebrati, un interstizio emopoietico e follicoli tiroidei attivi - permette infatti di indagare efficacemente e contemporaneamente i potenziali effetti nefrotossici, immunotossici e distruttori endocrini associati all’esposizione a tale sostanza.
"Prima dell'uscita dell'ultimo articolo – ha affermato Manera - non esisteva alcuno studio circa gli effetti dell’acido perfluoroottanoico (PFOA) sulla ultrastruttura della tiroide. Si tratta, ovviamente, di un primo step condotto sperimentalmente in modello animale ma che è utile per indagare il ruolo nocivo del PFOA che è stato già bandito dall’Unione Europea, in recepimento delle indicazioni della convenzione di Stoccolma, a partire dal 2020, nell’ambito del regolamento POP sugli inquinanti organici persistenti, a causa della sua persistenza ambientale e degli effetti sulla salute animale e dell’uomo".
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